13 febbraio, 2011

Anche il Crociere (Loxia curvirostra Linnaeus, 1758) frequenta Erto


Non lo avevo mai visto prima! Poi, in una prima mattina di fine agosto, l'avvistamento. Dove? Sul muro di una casa abbandonata di via Pascoli, a Erto. Prima uno, poi due, poi tre esemplari: due maschi e una femmina, intenti a grattare e leccare avidamente le pietre del muro per assumerne i sali minerali...
È un comportamento del Crociere, che era già stato osservato, e riferito, nelle baite, ma in definitiva, poco conosciuto.
Hanno continuato quest'attività per un paio di giorni, alternandola a "giretti" per Erto. Poi, così come sono arrivati, se ne sono andati: all'improvviso.
Nel frattempo, sono riuscito a fotografarli e ad effettuare delle riprese video... il tutto nel cuore di Erto.
Lo so, lo so che siamo ancora a febbraio, ma ho caricato questa foto su Flickr e non ho saputo resistere alla tentazione di proporla anche qui: cercate di capirmi, è il mio modo per ricordarmi dei tanti momenti incredibili, di pura gioia naturalistica, vissuti in quell'incredibile e indescrivibile paese che è Erto.

08 febbraio, 2011

L'incendio sul Monte San Mauro


Siamo scesi sulla Luna, mandiamo sonde su Marte e ancora più lontano, disponiamo di bombe e missili "intelligenti", ma facciamo ancora fatica a spegnere degli incendi, e non solo. Per fortuna, l'IUCN, the International Union for Conservation of Nature, ha dichiarato il 2011 anno internazionale delle foreste. Centinaia d'ettari di Bosco del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi sono letteralmente andati in fumo... e con essi animali, piante e Storia. Se poi l'incendio fosse d'origine dolosa... che dire?
Proteggere la Madre Terra non è un costo, ma un investimento e se un Boing 747 può atterrare da solo, strumentalmente, in mezzo alla nebbia più fitta perché un bel po' di fumo basterebbe a rendere difficoltoso l'intervento degli elicotteri e degli aerei antincendio?
Nella fotografia, l'incendio sul Monte San Mauro, visto dalla piana di Crede (Belluno), a circa 25 chilometri di distanza in linea d'aria.

05 febbraio, 2011

Valle del Vajont: il Ponte Cerenton, il Lago del Vajont ed Erto nel 1963


È grazie alla gentilezza e alla disponibilità della signora Franca del bar ristorante Julia di Erto, se ho potuto vedere, e poi scansionare, questa rara cartolina o, più correttamente, questo prezioso documento.
La cartolina è del 1963... Io, di mio, non voglio aggiungere altro, se non un'invito sincero a "guardare oltre", a voler vedere cosa realmente rappresenta quest'immagine.

Dolomiti d'epoca: il rifugio Cesare Battisti nel 1947


Il rifugio Cesare Battisti ha fatto la storia della Paganella (2108 m s.l.m.), ciò nonostante, purtroppo, è chiuso ormai da alcuni decenni. Sullo sfondo il Gruppo di Brenta (Trento).
585 - Edizioni "Hermes" 1947 - Vera fotografia
Cartoleria G. Pedrotti - Trento - Via Oss. Mazzurana n. 60

28 gennaio, 2011

Dolomiti d'epoca: passo di Falzàrego e albergo Marmolada


Il Passo di Falzàrego - Albergo Marmolada in una cartolina acquistata il 13 agosto 1950. Interessanti i tempi di percorrenza delle gite... Nel timbro sul retro si legge: telef. 5151 Cortina d'Ampezzo. Quattro numeri!, bello no?

19 gennaio, 2011

Dolomiti d'epoca: il rifugio Primula (Auronzo, Val da Rin)


Il rifugio Primula (Auronzo, Val da Rin), oggi chalet, con nello sfondo le Marmarole m. 2930. Fotografia delle Edizioni F. Bariviera di Auronzo.
All'epoca, il gestore, nel classico timbro con il nome del rifugio apposto sul retro della cartolina, riportava: VAL DA RIN m. 1200

16 gennaio, 2011

Dolomiti d'epoca: il Rifugio Passo Giau


Il rifugio Belvedere Passo Giau a m. 2236, fotografato da Giuseppe Ghedina di Cortina inquadrando il Monte Averau di m. 2648. Sul retro, la significativa scritta a stampa "vera fotografia".

Sto recuperando, da un grande scatolone rimasto a bagno nell'acqua per parecchie ore, diverse cartoline e fotografie d'epoca. Sto parlando dei primi anni 60, ma ne ho trovate anche del '40 e del '50, quando i miei genitori hanno iniziato a portarmi in Montagna: pensioncina a gestione familiare, gite "sociali" a scoprire le bellezze delle Dolomiti, escursioni ai Rifugi o nei boschi, a funghi, fragole e mirtilli...
Quindi, tempo permettendo, lavorerò di scanner, cercando di condividere una visione della Montagna che, per me, ha quasi mezzo secolo. E dal momento che mi sento sempre più fondamentalista (rischiando anche l'integralismo), la Montagna mi piacerebbe vederla ancora come allora... e non solo per nostalgia.
Mi verrebbe da dire La Montagna ai Montanari... ma io montanaro non lo sono, anzi... e quindi dovrò studiarmela bene prima di scriverla.

Valbelluna da conoscere: il complesso cinquecentesco di Crede


A circa 12 chilometri a Sud di Belluno, quasi ai piedi del Nevegàl (la pronuncia corretta vuole l'accento sull'ultima vocale), Col Toront, Col Visentin, sul lato settentrionale delle Prealpi Venete e, quindi, nella collina bellunese in sinistra Piave, al centro di 90 ettari di terreno agricolo e bosco, c'è il suggestivo complesso cinquecentesco di Crede, che fu anche residenza estiva del vescovo di Belluno Giulio Berlendis (19-11-1651, † 21-10-1693).
Il storico complesso, è composto da un corpo principale a tre piani, sulla cui destra si trovano quelle che erano le abitazioni e le stalle piccole degli abitanti di Crede (da notare che le costruzioni a schiera rispettano il declivio del terreno. Sulla sinistra dell'edificio centrale, invece, c'è l'ex stalla grande con fienile (tabià). Particolarmente interessante poi, sia dal punto di vista storico-culturale che architettonico, la presenza di una porcilaia - colombera dalle caratteristiche guglie.


Sempre sulla sinistra, ma esterna al complesso, la seicentesca cappella fatta erigere dal vescovo Berlendis e ampliata nel 1893 - secondo centeneraio della sua morte - dalla commissaria Berlendis (l'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che ne amministra il patrimonio per volontà testamentaria).

   

Nel 1982, la commissaria Berlendis affidò a don Gigetto De Bortoli l'incarico di pensare ad un nuovo utilizzo dell'importante struttura e dal 1985, dopo i necessari lavori di ristrutturazione e riattamento, Crede è la sede della Comunità Terapeutica "Fonte Viva" del CEIS di Belluno onlus.

   

13 gennaio, 2011

Il Consiglio Provinciale dice sì al referendum

Martedì scorso, alle ore 17,30, il Consiglio Provinciale di Belluno ha votato una delibera nella quale si chiede al Governo nazionale di indire un referendum con il seguente quesito: Volete voi che l’Amministrazione provinciale di Belluno promuova la procedura per il referendum previsto dall’art. 132, comma 2, della Costituzione affinché il territorio della Provincia di Belluno sia separato dalla Regione Veneto per entrare a far parte della regione autonoma Trentino Alto Adige?
Ora la richiesta di Referendum arriverà sul tavolo del Ministro degli Interni, sarà sottoposta al Giudizio della Cassazione e del Governo.

09 gennaio, 2011

Autonomia per la Provincia di Belluno?

Il Consiglio Provianciale di Belluno, martedì 11 gennaio, ha all'ordine del giorno l'Avvio della procedura per l'indizione del Referendum ex art. 132 comma 2 della Costituzione, avente ad oggetto il seguente quesito: “Volete che il territorio della Provincia di Belluno sia separato dalla Regione Veneto per entrare a far parte integrante della Regione Trentino Alto Adige?”.

Dolomiti. Un orgoglio viverci, un dovere salvarci. Così il Comitato Belluno Autonoma Dolomiti Regione propone il suo Manifesto referendario chiarendo che "È la migliore tra le ipotesi di trasferimento amministrativo, poiché la regione Trentino non esiste come ente amministrativo accentrante, essa è un mero contenitore di due province autonome alle quali non viene “annessa” Belluno, che diventerebbe, invece, la terza provincia autonoma, necessariamente dotata di potere legislativo poiché la regione Trentino Alto Adige questo potere l’ha delegato alle province".
E che le Province autonome di Trento e Bolzano sappiano amministrarsi saggiamente, credo nessuno possa metterlo in dubbio.

03 gennaio, 2011

Soppresso l'Ente Italiano della Montagna?

Solo pochi giorni fa ho visitato il sito dell'Ente Italiano della Montagna (fino a qualche anno fa IMONT - Istituto Nazionale della Montagna), senza accorgermi di nulla. Pochi minuti fa scrivo il nome dell'Ente, più per curiosità che per reale convinzione, nel campo di ricerca di Facebook: e c'è, lo trovo. Clicco, leggo, e scopro che (riporto integralmente dalla homepage del sito ufficiale): 

L'EIM, Ente Italiano della Montagna, è soppresso in seguito alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010 della Legge n. 122 del 30 luglio 2010: conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010: recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

L’Ente Italiano della Montagna (EIM), con sede in Roma, è l'ente pubblico di ricerca della Presidenza del Consiglio dei Ministri finalizzato al supporto delle politiche e allo sviluppo socio-economico e culturale dei territori montani, nonché alla salvaguardia e valorizzazione delle aree montane.
L'Ente è il punto di riferimento delle amministrazioni pubbliche per i territori montani e fornisce consulenza e supporto all'autorità di governo, alle amministrazioni locali e agli enti territoriali 
- nella raccolta, sistematizzazione e diffusione dei dati e delle conoscenze sulla montagna;
- nell'elaborazione delle politiche e degli interventi in favore delle aree montane;
- nella definizione di strategie e azioni innovative, in grado di trasformare le istanze di sviluppo in programmi e progetti di ricerca a valenza settoriale e territoriale.

Sulla pagina di Facebook c'è, però, anche questa notizia: "Si chiede alle Istituzioni competenti la revoca del provvedimento di soppressione dell’EIM, che priverebbe la montagna e il Paese dell’unico ente nazionale pubblico di ricerca dedicato alle aree montane".
L'EIM, tra l'altro, aveva attivato nel 2006 il progetto Anguana “Museo dell’Uomo e della Montagna” articolato in tre attività distinte, ma correlate tra loro. Una di queste, e più precisamente la seconda, riguardava la realizzazione dell’“Ecomuseo del Vajont: continuità di vita” presso il Comune di Erto e Casso (PN). Storia di cui mi riprometto di parlare approfonditamente in un prossimo post.

Per il momento stiamo a vedere! Certo che peggio di così...

02 gennaio, 2011

Insediamenti montani, autogoverno, comunità e solidarietà

Riporto integralmente l'articolo, scritto da Loris, pubblicato sul numero tre del 2006 di Nunatak: rivista di storie, culture, lotte della montagna Mi ha offerto una nutrita serie di spunti di riflessione che intendo approfondire proprio qui sul blog... per il momento buona lettura!
PS: chi desiderasse approfondire la conoscenza di Nunatak può scaricarla in formato pdf.

L’organizzazione dello spazio vitale nelle terre montane ha sempre rappresentato un aspetto indicativo del modo con cui le comunità umane presenti sulle montagne si rapportassero all’ambiente a loro circostante e di come l’approccio verso le attività quotidiane fosse distante dalla concezione moderna di lavoro.
Una delle attività che si rese necessaria dalla parziale sedentarizzazione delle genti di montagna fu, prima fra tutte, la realizzazione di case ed insediamenti. Costruzioni che, in parte, ancor oggi è possibile vedere ed abitare.
Se non si osserva la montagna soltanto come un ammasso esanime di terra e roccia, ma se ne coglie l’estrema vitalità che custodisce, è sufficiente guardarsi attorno perché suggerisca gli spunti per un sacco di riflessioni. Una cosa in particolare mi dà piacere nel guardare i vecchi abitati di montagna: sapere che queste case furono ideate e realizzate dalle stesse persone che per prime ne avrebbero usufruito, con i materiali lì reperibili e senza mai poter trascurare la natura che le circondava, essendoci con
questa un continuo confronto e scambio, una totale reciprocità. Dalla montagna si traeva di che vivere, ma non era possibile ignorare le sue esigenze perché, ancora indomata, avrebbe saputo come “vendicarsi”. Nella zona alpina, infatti, l’uomo mise in atto una strategia di popolamento frutto di un’approfondita osservazione dei fenomeni naturali. Difficilmente, quindi, troveremo insediamenti ubicati su terreni favorevoli alla formazione di valanghe, alluvionabili o facilmente soggetti all’azione del vento. Solo oggi, l’uomo armato di scienze e tecniche moderne ha l’arroganza di poter dirigere l’ambiente e far fronte anche alle sue manifestazioni più impetuose.
Gli insediamenti che, a parer mio, meritano maggiore attenzione per il valore che rappresentano sono quelli definiti di carattere spontaneo, definizione che potrebbe ingannare se non si tenessero in considerazione i precisi condizionamenti climatici e le esigenze funzionali imposte dall’ambiente montano. Tale denominazione, infatti, ha origine più che altro dal marcato adeguamento di queste architetture ai caratteri fisici del territorio e dalla totale assenza di procedure normative di tipo istituzionale sull’intervento costruttivo. Costruite dagli stessi abitanti delle valli, queste case sono perlopiù di roccia (per le pareti) e di legno (per le travature), materiali reperibili sul posto e facilmente trasportabili che quindi consentirono, anche in questo frangente, alla gente di montagna
di mantenere un’eccellente autosufficienza.
La cultura e le esigenze di questi territori (specie per l’alta valle) garantivano lo svilupparsi di una forte coscienza cooperativa, tant’è che proprio l’ambito costruttivo, che implica un impegno collettivo non da poco, richiedeva un coinvolgimento generale che vedeva interessata un’ampia fascia di persone, senza distinzione di sesso, età, referenze: tutti partecipavano attivamente e si rendeva necessaria per tutti la conoscenza dell’arte del costruire. Di fatto non esisteva il costruttore di professione, ognuno, in misura diversa, era oltre che contadino e pastore anche muratore, falegname, carpentiere ecc. Tutto ciò si ricreava soprattutto nelle comunità d’alta quota dove la situazione di difficoltà portava anche, ed inevitabilmente, alla condivisione delle fatiche. Condivisione che si verificava nella gran parte degli ambiti del quotidiano.
Notiamo ad esempio come fossero diffuse le strutture comunitarie nei villaggi: mulini, forni, fontane, frantoi… (solo questi meriterebbero un capitolo a sé). Queste strutture venivano generalmente utilizzate a turno da gruppi o famiglie del borgo che sempre a turno provvedevano
alla loro manutenzione. Più raramente (soprattutto i mulini) gestiti da un unico responsabile, retribuito con una percentuale sul prodotto ottenuto.
Nel Medioevo, in epoca feudale, poteva capitare che fossero sotto il controllo di qualche signorotto che imponeva tassazioni sui prodotti ottenuti, ma sappiamo altresì che, grazie
alla forza delle loro comunità ormai consolidate, per la caparbietà che li contraddistingue e per la bassa densità che impediva un efficace controllo sulla popolazione, gli abitanti di questi luoghi seppero garantirsi condizioni di autogoverno e indipendenza, cosicché il potere feudale mai si instaurò radicalmente.
Tornando all’edilizia rurale delle “nostre” montagne, nonostante si differenzi in modo evidente da una località all’altra a seconda dei bisogni o dei gusti delle mani sapienti che intervennero, si possono osservare numerose caratteristiche comuni.
Tra queste trovo sia interessante prestare attenzione alla disposizione degli abitati (specie per quelli di carattere romano, più diffuso nella zona delle Alpi occidentali e differente da quello germanico presente altrove): questi non erano mai dettati dal caso, ma il prodotto di un accurato schema di occupazione dello spazio mantenuto nel tempo dalla tradizione. È singolare, ad esempio, vedere come, in luoghi dove ciò che non manca di certo è lo spazio, le case siano per la gran parte concepite in strutture aggreganti piuttosto raccolte. Questa scelta è dovuta sia alla necessità di ridurre al minimo l’occupazione del costruito sul terreno fertile, sia per trattenere maggiormente il calore, sia ad un altro aspetto che riconferma il forte spirito di comunanza che si generava in questi luoghi, ovvero il bisogno di stringersi il più possibile ai vicini per arrecarsi più facilmente soccorso in caso di problemi o disgrazie nei lunghi periodi di isolamento invernale.
È quindi evidente come la relazione con lo spazio fosse intesa in modo funzionale alle esigenze di primaria necessità, ma sempre attraverso un imprescindibile rapporto
di “dare e avere” con l’habitat che si andava ad “invadere”. Se pur necessaria, la funzionalità non rappresenta l’unico parametro con il quale vengono elaborate le abitazioni di alta montagna. Hanno invece notevole valore anche alcuni particolari architettonici legati all’immagine della casa, “dettagli” per i quali le genti dimostravano particolare interesse sviluppando nel tempo grande attenzione ed orgoglio per l’aspetto della propria dimora. Piccoli elementi interni ed esterni che, grazie al concorso di tante braccia, probabilmente nell’euforia generale odorosa di vino, divennero una vera e propria espressione di arte popolare.
In ciascuna delle pietre posate, in ogni gradino, nelle massicce architravi, nelle volte delle stalle, nei tronchi scavati di fontane, nelle pale in legno di mulini… rimangono incisi, non soltanto i segni del tempo, ma le vite delle genti che lo attraversarono in un intreccio di relazioni, passioni, intese e vicissitudini. Nel rapporto dell’uomo con lo spazio in cui vive e in cui si trova ad intervenire, si riflette direttamente la sua condizione. E se a giudizio prendiamo l’organizzazione del territorio nelle città, con cui gran parte delle persone sono ridotte a convivere, non può che venirne fuori un quadro abominevole.
L’appropriazione da parte del sistema mercantile dell’intero contesto urbano si riversa su ogni sfera del quotidiano di chi lo abita. Qualunque edificio, strada, luogo di ritrovo risponde sempre più esclusivamente a termini di redditività e controllo di un sistema dominante, escludendo così, a chi effettivamente ne dovrà fruire, ogni possibilità di scelta in rapporto ai propri bisogni e alla propria volontà. È da considerare infatti che chi detiene il potere esige spazi che gli garantiscano di esercitarlo al meglio e, in base a questo, li trasforma affinché si creino i presupposti per poterlo perpetrare.
Sarebbe opportuno quindi non perdere di vista i luoghi che ancora, in qualche modo, sono stati preservati dal radicamento di questi sistemi, essendo anch’essi sotto costante minaccia. Ed osservando gli esempi che anche il passato ci offre sarà possibile sviluppare le basi che ci permetteranno di creare i nostri luoghi di vita e contrapporsi a chi li vorrebbe cancellare.

Nunatak: rivista di storie, culture, lotte della montagna

È stato l'amico Michele Telaro, nel 2006, durante un'escursione in Val Chiusella (TO), a "vederla", prenderla e portarla a Erto per farcela conoscere. Si tratta di una bellissima e sentita iniziativa editoriale curata dall'Associazione Culturale Rebeldies e stampata in proprio presso l'omonima Biblioteca Popolare, entrambe di Cuneo. Non ha la carta patinata, né strabilianti immagini a colori, ma contenuti, rigorosamente in bianco e nero. Con questo nome, originario della lingua dei popoli nativi del polo artico, sono denominate le formazioni rocciose che spuntano dalla coltre ghiacciata della Groenlandia e del circolo polare antartico. Si tratta in effetti delle vette di alcune, le uniche al giorno d?oggi ancora coperte dai ghiacci perenni, di quelle montagne su cui, all?epoca delle glaciazioni, si rifugiarono embrionali forme viventi che, con il ritiro dei ghiacci, ripopolarono di vita il pianeta. Dinnanzi al dilagare degli scempi sociali ed ecologici prodotti dalla società della Merce e dell'Autorità, le montagne della Terra tornano ad essere lo spazio della resistenza e della libertà. Affinché una vita meno alienata e meno contaminata possa, giorno dopo giorno, scendere sempre più a valle. Questo lo spirito che anima e pervade la rivista.
Sempre dalla seconda di copertina: Numero tre, estate 2006. Supplemento al n. 1 (65), aprile 2006, di "ALP" - vos ëd l’arvira piemontèisa. Reg. Trib. di Biella n. 207 del 7/5/1975, Dir. Resp. Tavo Burat.
A causa delle leggi sulla stampa risalenti al regime fascista, la registrazione presso il Tribunale evita le sanzioni previste per il reato di "stampa clandestina". Ringraziamo Tavo Burat per la disponibilità offertaci.
Pubblicazione a cura dell’Associazione Culturale Rebeldies, struttura non esercente attività commerciale né finalità di lucro.
Per pagamenti copie e contributi economici:
Conto Corrente Postale n. 69975381, intestato ad Imeri Alessandra, Cuneo.
Stampato in proprio presso la Biblioteca Popolare Rebeldies (Cuneo), giugno 2006.
Prezzo di copertina: 2,50 Euro. Per il momento non si effettuano abbonamenti.

Non so che fine abbia fatto la versione cartacea, su Internet non sono riuscito a trovare informazioni aggiornate, ma solamente dei numeri in formato pdf, che metterò comunque on-line quanto prima. Ci sono molti articoli che chiunque ami la montagna, e intenda "proteggerla", dovrebbe leggere.

25 dicembre, 2010

Trent'anni di Le Dolomiti Bellunesi


Ultimamente ho riletto diversi miei libri, credo alla ricerca di alcune di quelle emozioni che hanno caratterizzato il periodo ertano della mia vita. Con ugual spirito guardo e riguardo, quasi ossessivamente, anche le fotografie che ho scattato nella Valle del Vajont: sono più di 5mila e ormai, a forza di visionarle e pensarle, le conosco praticamente una ad una...
Sto cercando qualche cosa, e mentre cerco scopro "cose" entusiasmanti, ad esempio il numero speciale de Le Dolomiti Bellunesi, pubblicato a Natale del 2008 in occasione del trentennale della rivista. Un libro importante, di ben 479 pagine, curato da Italo Zandonella Callegher e da Loris Santomaso. Nelle sue pagine, un concentrato straordinario di emozioni, di storie, di... vita, vita in montagna.
È uno di quei libri che mi fa sentire piccolo piccolo, ignorante; che mi obbliga a riflettere sul tempo sprecato (forse non lo è mai, ma d'istinto mi vien da pensarlo), ma, contemporaneamente, mi da una carica incredibile: cose da capire, cose da fare, da portare a compimento, da studiare, da, nei limiti del possibile e con tanta presunzione, divulgare.
Penso di aver ridato vita a Valbelluna e Valle del Vajont on-line, dopo anni di totale abbandono, proprio per queste ragioni: voglia d'esserci e di condividere. E questo libro mi ha sicuramente aiutato a capirlo.
Se non ho contato male, sono 43 i contributi raccolti ne La grande cordata e, per completezza d'informazione, avevo pensato fosse giusto riportarne l'indice. Invece, non lo faccio. Preferisco illudermi di riuscire a stuzzicare la vostra curiosità, di riuscire a farvelo leggere questo incredibile libro. Certo, ci troverete raccontata la vita e le imprese di alcuni "signori delle cime"; storie d'alpinismo, ma anche, ad esempio, un intrigante Segnali dal tempo. Neandertal e Cro-Magnon: un ritratto dei più antichi frequentatori dei territori bellunesi; un'affascinante quanto istruttivo Sulle cime di carta. Note toponomastiche bellunesi in margine alla carta del ducato di Venezia del von Zach o, chicca tra le chicche, Il pastìn, miscela nobile della cucina montanara. Cito ancora, Don Antonio Della Lucia, l'apostolo del cooperativismo, agordino, fondatore l'8 gennaio 1872 della prima latteria sociale d'Italia a Forno di Canale; Un anno vissuto intensamente di Franco Miotto e Il sergente che non voleva arrendersi, toccante e malinconico ricordo del grandissimo Mario Rigoni Stern.
A tratti mi è parso quasi di leggere un libro di favole, io che, per altro, ne ho lette pochissime. Sto amando sempre più la Montagna, le sue genti, la loro storia e le loro vite perché qui è ancora possibile vivere, posso e voglio testimoniarlo, così come molto più autorevolmente fa questo libro: leggetelo!

21 dicembre, 2010

"La mia vita" di Mauro Corona


Nell'ormai lontano agosto del 2006, l'Editoriale Domus distribuì il bimestrale Meridiani Montagne, dedicato alle Dolomiti Friulane o Clautane, anche con allegato (a richiesta) il libro "La mia vita - Racconti dal 1997 al 2004" di Mauro Corona.

Il costo, rispetto al solo bimestrale, era maggiorato di soli 2,50 euro: una proposta davvero irresistibile.
Presentato come l'antologia autobiografica dell'alpinista-scultore-scrittore di Erto, è una raccolta inedita di racconti già apparsi in altri libri (Il volo della martora, Nel legno e nella pietra, Aspro e dolce). Il suo pregio, per quanto mi riguarda, sta tutto nella Prefazione, che lo stesso Renzo Bassi, curatore dell'antologia, definisce "anomala": in pratica, un'interessante intervista a Mauro Corona che si racconta come scrittore.
Ne scrivo perché l'ho appena riletto, e perché potrebbe rappresentare un simpatico regalo natalizio per chi segue le avventure letterarie di Mauro e per tutti i bibliofili.
Per me è qualcosa di ancora più significativo, perché quel lunghissimo sabato 17 giugno c'ero anch'io con loro: dal primo pomeriggio al ritorno dalla cena del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, di primo mattino.
Ore intense, ricche, belle, brutte, persino spiacevoli, come solo quelle trascorse con uomini dalla personalità così eclettica e dall'esperienze così vaste ti possono offrire.
L'importante è sempre saper ascoltare.


I volumi della serie Montagne Narratori erano e sono commercializzati solo come allegati del periodico Meridiani Montagne: per ottenerli è possibile contattare l’ED-store della Editoriale Domus, il servizio clienti o cercarli nell'affascinante e polveroso mondo dell'usato.

15 dicembre, 2010

Gli orsi della Val Mesath


Il libro di Adriano Roncali, dall'autunno 2004 gestore del rifugio Casera Ditta, in Val Mesath (in ertano si pronuncia Mesaz), in italiano Mesazzo (è il toponimo che trovate sulle carte geografiche), come quasi tutti quelli pubblicati dalla Edizioni Biblioteca dell'Immagine di Pordenone, si legge tutto d'un fiato.
Nove racconti di un uomo che vive in montagna, con la montagna e per la montagna, di un uomo che ha conquistato il suo "posto".
Il libro l'ho riletto due settimane fa, e mi è piaciuto, molto più della prima volta, appena uscito nelle librerie. Io sono arrivato a Erto nel marzo del 2005, ho conosciuto e frequentato Adriano e i suoi amici (Pino Bottino, Paolo Cossi e quasi tutti gli altri), molto meno la sua Val Mesath, per niente le sue, le loro montagne. Gli inverni invece sì, sono gli stessi: lui in Val Mesath, io prima a Erto vecchia, poi a San Martino Alta.
In molte delle pagine del suo libro, ritrovo e rivivo le atmosfere, le sensazioni, i sentimenti che ho vissuto in quegli anni, in quegli inverni, freddi, solitari, ma di una bellezza, di un fascino, per me indescrivibili.
Adriano, nel suo libro, riporta una frase dettagli dall'anziano Bruno Ditta: «Loro non capiscono, ma io so cosa vuol dire stare lassù, quello che si prova. Certo deve piacerti, non si può farlo così tanto per farlo, ma se ti piace non riesci più a cambiarlo, quel modo di vivere, diventa irrinunciabile...». La citazione non è completa, io non stavo lassù, ma questa frase la sento proprio mia, mi rappresenta...
Il libro è molto bello, l'ho già detto, per i suoi racconti ma, ancor più, per quanto vi è scritto tra le righe, per quello "stile di vita" che, forse inavvertitamente, Adriano propone.
Mario Rigoni Stern, qualche anno fa, proprio qui a Belluno, in merito alle nuove frontiere della scrittura di montagna suggerì che era necessario: «Recuperare il passato, rivalutare l'esperienza dei nostri antenati e ricostruire un rapporto più equilibrato con la natura». Adriano Roncali l'ha già fatto, noi possiamo almeno leggerci il suo libro.


Titolo: Gli orsi della Val Mesath
Autore: Adriano Roncali
Editore: Edizioni Biblioteca dell'Immagine
ISBN: 978-88-89199-83-1
Pagine: 172
Prezzo: € 12,00
Copertina in cartonato lucido.

14 dicembre, 2010

Storie di Dino e altri orsi



Venerdì 17 dicembre alle ore 18.00 presso il Centro Culturale Piero Rossi, in piazza Piloni a Belluno, presentazione del libro “Storie di Dino e altri orsi” e incontro con l'autore Daniele Zovi (Comandante provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Vicenza).
Interverranno anche Dario Campedel del Corpo Forestale dello Stato e Enrico Vettorazzo del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
L'ingresso è libero.

Chi ha paura dell’orso cattivo? Cosa mangiano gli orsi e chi mangia l’orso? Orsi gentili, orsi in fuga, orsi indifesi e orsi da compagnia.
In questo agile libretto troverete tutte le informazioni per conoscere il simpatico animale, che ha rischiato
di scomparire per sempre dai nostri boschi.

L'orso è un animale che vanta una storia di tutto rispetto; attualmente è balzato alle cronache grazie a Dino (così chiamato in onore dello scrittore bellunese Dino Buzzati), che arriva in Italia dalla Slovenia nella primavera del 2009. Partito probabilmente per sfuggire al sovraffollamento del suo territorio natio, attraversa velocemente Friuli e Veneto lasciando dietro di sé greggi devastati che lo rendono famoso. Dino è migrato autonomamente, non rientra cioè nel progetto Life Ursus, finalizzato alla ricostruzione di un nucleo di orsi nelle Alpi centrali attraverso il rilascio di orsi sloveni, ma è lo spunto per approfondire la conoscenza di questo animale che ha rischiato di scomparire dal suo habitat a causa dell'uomo. Dallo stemma di Benedetto XVI alla bandiera della California, dalla ninfa Calliste trasformata in orsa per punizione da Artemide a Winnie Pooh fino agli studi anatomici di Leonardo Da Vinci: ecco come si sviluppano nella nostra cultura l'immagine e la concezione dell'orso, finalmente riconosciuto tra le specie protette da norme nazionali e comunitarie.

09 dicembre, 2010

Neve, Nebbia, Nuvole...


04 dicembre 2010 ore 13.39
Dalla piana di Crede (BL): neve, nebbia, nuvole...
uau, che spettacolo! Il mio preferito.

08 dicembre, 2010

La frana della Pineda


Poco oltre il corpo della Frana del Vajont, si incontra una grande area, anch’essa caratterizzata dalla presenza di strane e variegate forme. È un’altra frana, la Frana della Pineda. Si è staccata dal Monte Borgà molte migliaia di anni fa (nel periodo relativo al ritiro dei giacciai dell’ultima glaciazione). Costituita da roccia fortemente fratturata, è stata incisa dal Torrente Vajont e dal Torrente Mesazzo/Mesath. Questo accumulo nasconde un tesoro memorabile.
La frana della Pineda, è andata a collocarsi parte in una depressione (paleo-valle del Mesazzo/Mesath), e parte su un deposito più antico, dell’inizio del periodo Tardoglaciale.
Nella fotografia, si vede come la porzione rosata sommitale ricopra una serie differenziata di depositi. Questa parte sommitale è la frana, che conserva sotto di sé una storia di laghi, torrenti e fiumi glaciali e archi morenici rilasciati dai ghiacciai durante le loro pulsazioni.
Appena al di sotto del deposito rosato, compare, infatti, una fascia scura che può essere riferita ancora alla frana, al di sotto della quale si vede un  corpo a spessore variabile, costituito da una matrice fine chiara e molti grossi sassi arrotondati distribuiti in maniera caotica (deposito morenico). Procedendo verso il basso si incontra una linea di discontinuità netta sotto la quale si vede un corpo di altra natura, presentante al suo interno una stratificazione che prima risulta orizzontale e poi improvvisamente inclinata (apparato deltaico fluvioglaciale). Tale delta andava ad immettersi in un glaciolago, di cui si trovano i depositi limoso e sabbiosi laminati e a volte deformati, con drope stone, appena più a valle.
Questa, a sentire l'amico e geologo Emiliano Oddone, era la fotografia da scattare, quella che ci sarebbe servita: il posto lo ha scelto lui, e io proprio non vorrei dover ripensare a dove mi ha portato. Vi dico solo che ho rischiato di volare di sotto, fin sul greto del Mesath, e che non dimenticherò mai quella corsa apparentemente inarrestabile verso il vuoto, e lo scatto felino di Emiliano che tentava di afferrarmi... per fortuna ho abbracciato un alberello.

28 novembre, 2010

Un "introvabile" racconto del Vajont

Autunno 1962.
Vittorio De Angelis, ventiquattrenne laureando in ingegneria, chiede un posto da operaio pur di venir assunto al "Grande Vajont", nuovissimo impianto idroelettrico sui monti veneto-friulani. Ci arriva con l'orgoglio di lavorare alla diga più alta del mondo; di essere un protagonista dell'avanzamento tecnologico...
Il breve testo è tratto dalla seconda di copertina del romanzo Storia di un Lago e di una Montagna di Gianluca Casagrande, nato a Roma il 27 dicembre 1974, ma di origini bellunesi, laureato in Lettere classiche specializzandosi nel campo delle politiche culturali. Da qualche anno si occupa di saggistica e narrativa.
Gianluca Casagrande, a ventisette anni, ha pubblicato questo libro impegnativo, anche come lunghezza, un «romanzo di formazione», come si diceva un tempo, a partire da suggestioni ricevute da altri (non ha vissuto né il Vajont né la ricostruzione, essendo nato nel 1974; la sua formazione classica gli consente variazioni stilistiche, nel tono, nel ritmo e nell'invenzione; l'autore ci tiene a ribadire che ha scritto un romanzo, solo un romanzo: «questo libro non ricostruisce eventi accaduti e non può essere utilizzato in sede documentaria per la dimostrazione di asserti, teorie o ipotesi». È ovvio che sotto c'è un accurato studio dei fatti, ed è anche ovvio che l'autore, che non è inesperto degli statuti letterari, si senta obbligato (se vuol restare nel campo della letteratura) a «mostrare» una vicenda, una realtà, non a «dimostrarla». Così scrive Francesco Piero Franchi in Gli alfabeti della consolazione - Elementi per una «Letteratura del Vajont».
Io l'ho trovato, molto più semplicemente, un bellissimo romanzo, di quelli che leggeresti in una sola notte... Ok, il mio potrebbe anche essere un giudizio poco obbiettivo, sia perché per alcuni anni ho vissuto nella Valle del Vajont, sia per l'età, ma molte delle atmosfere magistralmente narrate nel libro sono nei miei ricordi, le ho rivissute...
Qualche giovane amico se lo è fatto prestare, ed è piaciuto pure a lui... Ho pensato che potrebbe essere un ottimo regalo di Natale, ma è introvabile: esaurito, indisponibile, fuori catalogo...
Il libro è stato pubblicato nel 2001 da Antonio Stango Editore (via di Ripetta 66 - Roma). Non so quante copie ne siano state vendute, ma, in ogni caso, nulla giustifica la "scomparsa" di un libro. Amo i libri, amo la carta, ma, in caso di necessità, mi accontento di un e-book.
Ho intenzione di contattare sia l'autore, sia l'editore e tentare di porre rimedio a quella che considero a tutti gli effetti un'ingiustizia.
Chi volesse leggerlo può consultarlo o, forse, richiederlo alle seguenti Biblioteche:
Biblioteca civica - Belluno (BL)
Biblioteca civica - Limana (BL)
Biblioteca civica - Longarone (BL)L
Biblioteca civica - Santa Giustina (BL)
Biblioteca civica - Feltre (BL)
Biblioteca della Associazione Bellunesi nel mondo - Belluno (BL)
Biblioteca nazionale centrale - Firenze (FI)
Biblioteca comunale - Pordenone (PN)
Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma
Sistema bibliotecario urbano di Bergamo - Bergamo (BG)