02 gennaio, 2011

Insediamenti montani, autogoverno, comunità e solidarietà

Riporto integralmente l'articolo, scritto da Loris, pubblicato sul numero tre del 2006 di Nunatak: rivista di storie, culture, lotte della montagna Mi ha offerto una nutrita serie di spunti di riflessione che intendo approfondire proprio qui sul blog... per il momento buona lettura!
PS: chi desiderasse approfondire la conoscenza di Nunatak può scaricarla in formato pdf.

L’organizzazione dello spazio vitale nelle terre montane ha sempre rappresentato un aspetto indicativo del modo con cui le comunità umane presenti sulle montagne si rapportassero all’ambiente a loro circostante e di come l’approccio verso le attività quotidiane fosse distante dalla concezione moderna di lavoro.
Una delle attività che si rese necessaria dalla parziale sedentarizzazione delle genti di montagna fu, prima fra tutte, la realizzazione di case ed insediamenti. Costruzioni che, in parte, ancor oggi è possibile vedere ed abitare.
Se non si osserva la montagna soltanto come un ammasso esanime di terra e roccia, ma se ne coglie l’estrema vitalità che custodisce, è sufficiente guardarsi attorno perché suggerisca gli spunti per un sacco di riflessioni. Una cosa in particolare mi dà piacere nel guardare i vecchi abitati di montagna: sapere che queste case furono ideate e realizzate dalle stesse persone che per prime ne avrebbero usufruito, con i materiali lì reperibili e senza mai poter trascurare la natura che le circondava, essendoci con
questa un continuo confronto e scambio, una totale reciprocità. Dalla montagna si traeva di che vivere, ma non era possibile ignorare le sue esigenze perché, ancora indomata, avrebbe saputo come “vendicarsi”. Nella zona alpina, infatti, l’uomo mise in atto una strategia di popolamento frutto di un’approfondita osservazione dei fenomeni naturali. Difficilmente, quindi, troveremo insediamenti ubicati su terreni favorevoli alla formazione di valanghe, alluvionabili o facilmente soggetti all’azione del vento. Solo oggi, l’uomo armato di scienze e tecniche moderne ha l’arroganza di poter dirigere l’ambiente e far fronte anche alle sue manifestazioni più impetuose.
Gli insediamenti che, a parer mio, meritano maggiore attenzione per il valore che rappresentano sono quelli definiti di carattere spontaneo, definizione che potrebbe ingannare se non si tenessero in considerazione i precisi condizionamenti climatici e le esigenze funzionali imposte dall’ambiente montano. Tale denominazione, infatti, ha origine più che altro dal marcato adeguamento di queste architetture ai caratteri fisici del territorio e dalla totale assenza di procedure normative di tipo istituzionale sull’intervento costruttivo. Costruite dagli stessi abitanti delle valli, queste case sono perlopiù di roccia (per le pareti) e di legno (per le travature), materiali reperibili sul posto e facilmente trasportabili che quindi consentirono, anche in questo frangente, alla gente di montagna
di mantenere un’eccellente autosufficienza.
La cultura e le esigenze di questi territori (specie per l’alta valle) garantivano lo svilupparsi di una forte coscienza cooperativa, tant’è che proprio l’ambito costruttivo, che implica un impegno collettivo non da poco, richiedeva un coinvolgimento generale che vedeva interessata un’ampia fascia di persone, senza distinzione di sesso, età, referenze: tutti partecipavano attivamente e si rendeva necessaria per tutti la conoscenza dell’arte del costruire. Di fatto non esisteva il costruttore di professione, ognuno, in misura diversa, era oltre che contadino e pastore anche muratore, falegname, carpentiere ecc. Tutto ciò si ricreava soprattutto nelle comunità d’alta quota dove la situazione di difficoltà portava anche, ed inevitabilmente, alla condivisione delle fatiche. Condivisione che si verificava nella gran parte degli ambiti del quotidiano.
Notiamo ad esempio come fossero diffuse le strutture comunitarie nei villaggi: mulini, forni, fontane, frantoi… (solo questi meriterebbero un capitolo a sé). Queste strutture venivano generalmente utilizzate a turno da gruppi o famiglie del borgo che sempre a turno provvedevano
alla loro manutenzione. Più raramente (soprattutto i mulini) gestiti da un unico responsabile, retribuito con una percentuale sul prodotto ottenuto.
Nel Medioevo, in epoca feudale, poteva capitare che fossero sotto il controllo di qualche signorotto che imponeva tassazioni sui prodotti ottenuti, ma sappiamo altresì che, grazie
alla forza delle loro comunità ormai consolidate, per la caparbietà che li contraddistingue e per la bassa densità che impediva un efficace controllo sulla popolazione, gli abitanti di questi luoghi seppero garantirsi condizioni di autogoverno e indipendenza, cosicché il potere feudale mai si instaurò radicalmente.
Tornando all’edilizia rurale delle “nostre” montagne, nonostante si differenzi in modo evidente da una località all’altra a seconda dei bisogni o dei gusti delle mani sapienti che intervennero, si possono osservare numerose caratteristiche comuni.
Tra queste trovo sia interessante prestare attenzione alla disposizione degli abitati (specie per quelli di carattere romano, più diffuso nella zona delle Alpi occidentali e differente da quello germanico presente altrove): questi non erano mai dettati dal caso, ma il prodotto di un accurato schema di occupazione dello spazio mantenuto nel tempo dalla tradizione. È singolare, ad esempio, vedere come, in luoghi dove ciò che non manca di certo è lo spazio, le case siano per la gran parte concepite in strutture aggreganti piuttosto raccolte. Questa scelta è dovuta sia alla necessità di ridurre al minimo l’occupazione del costruito sul terreno fertile, sia per trattenere maggiormente il calore, sia ad un altro aspetto che riconferma il forte spirito di comunanza che si generava in questi luoghi, ovvero il bisogno di stringersi il più possibile ai vicini per arrecarsi più facilmente soccorso in caso di problemi o disgrazie nei lunghi periodi di isolamento invernale.
È quindi evidente come la relazione con lo spazio fosse intesa in modo funzionale alle esigenze di primaria necessità, ma sempre attraverso un imprescindibile rapporto
di “dare e avere” con l’habitat che si andava ad “invadere”. Se pur necessaria, la funzionalità non rappresenta l’unico parametro con il quale vengono elaborate le abitazioni di alta montagna. Hanno invece notevole valore anche alcuni particolari architettonici legati all’immagine della casa, “dettagli” per i quali le genti dimostravano particolare interesse sviluppando nel tempo grande attenzione ed orgoglio per l’aspetto della propria dimora. Piccoli elementi interni ed esterni che, grazie al concorso di tante braccia, probabilmente nell’euforia generale odorosa di vino, divennero una vera e propria espressione di arte popolare.
In ciascuna delle pietre posate, in ogni gradino, nelle massicce architravi, nelle volte delle stalle, nei tronchi scavati di fontane, nelle pale in legno di mulini… rimangono incisi, non soltanto i segni del tempo, ma le vite delle genti che lo attraversarono in un intreccio di relazioni, passioni, intese e vicissitudini. Nel rapporto dell’uomo con lo spazio in cui vive e in cui si trova ad intervenire, si riflette direttamente la sua condizione. E se a giudizio prendiamo l’organizzazione del territorio nelle città, con cui gran parte delle persone sono ridotte a convivere, non può che venirne fuori un quadro abominevole.
L’appropriazione da parte del sistema mercantile dell’intero contesto urbano si riversa su ogni sfera del quotidiano di chi lo abita. Qualunque edificio, strada, luogo di ritrovo risponde sempre più esclusivamente a termini di redditività e controllo di un sistema dominante, escludendo così, a chi effettivamente ne dovrà fruire, ogni possibilità di scelta in rapporto ai propri bisogni e alla propria volontà. È da considerare infatti che chi detiene il potere esige spazi che gli garantiscano di esercitarlo al meglio e, in base a questo, li trasforma affinché si creino i presupposti per poterlo perpetrare.
Sarebbe opportuno quindi non perdere di vista i luoghi che ancora, in qualche modo, sono stati preservati dal radicamento di questi sistemi, essendo anch’essi sotto costante minaccia. Ed osservando gli esempi che anche il passato ci offre sarà possibile sviluppare le basi che ci permetteranno di creare i nostri luoghi di vita e contrapporsi a chi li vorrebbe cancellare.

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