28 gennaio, 2011

Dolomiti d'epoca: passo di Falzàrego e albergo Marmolada


Il Passo di Falzàrego - Albergo Marmolada in una cartolina acquistata il 13 agosto 1950. Interessanti i tempi di percorrenza delle gite... Nel timbro sul retro si legge: telef. 5151 Cortina d'Ampezzo. Quattro numeri!, bello no?

19 gennaio, 2011

Dolomiti d'epoca: il rifugio Primula (Auronzo, Val da Rin)


Il rifugio Primula (Auronzo, Val da Rin), oggi chalet, con nello sfondo le Marmarole m. 2930. Fotografia delle Edizioni F. Bariviera di Auronzo.
All'epoca, il gestore, nel classico timbro con il nome del rifugio apposto sul retro della cartolina, riportava: VAL DA RIN m. 1200

16 gennaio, 2011

Dolomiti d'epoca: il Rifugio Passo Giau


Il rifugio Belvedere Passo Giau a m. 2236, fotografato da Giuseppe Ghedina di Cortina inquadrando il Monte Averau di m. 2648. Sul retro, la significativa scritta a stampa "vera fotografia".

Sto recuperando, da un grande scatolone rimasto a bagno nell'acqua per parecchie ore, diverse cartoline e fotografie d'epoca. Sto parlando dei primi anni 60, ma ne ho trovate anche del '40 e del '50, quando i miei genitori hanno iniziato a portarmi in Montagna: pensioncina a gestione familiare, gite "sociali" a scoprire le bellezze delle Dolomiti, escursioni ai Rifugi o nei boschi, a funghi, fragole e mirtilli...
Quindi, tempo permettendo, lavorerò di scanner, cercando di condividere una visione della Montagna che, per me, ha quasi mezzo secolo. E dal momento che mi sento sempre più fondamentalista (rischiando anche l'integralismo), la Montagna mi piacerebbe vederla ancora come allora... e non solo per nostalgia.
Mi verrebbe da dire La Montagna ai Montanari... ma io montanaro non lo sono, anzi... e quindi dovrò studiarmela bene prima di scriverla.

Valbelluna da conoscere: il complesso cinquecentesco di Crede


A circa 12 chilometri a Sud di Belluno, quasi ai piedi del Nevegàl (la pronuncia corretta vuole l'accento sull'ultima vocale), Col Toront, Col Visentin, sul lato settentrionale delle Prealpi Venete e, quindi, nella collina bellunese in sinistra Piave, al centro di 90 ettari di terreno agricolo e bosco, c'è il suggestivo complesso cinquecentesco di Crede, che fu anche residenza estiva del vescovo di Belluno Giulio Berlendis (19-11-1651, † 21-10-1693).
Il storico complesso, è composto da un corpo principale a tre piani, sulla cui destra si trovano quelle che erano le abitazioni e le stalle piccole degli abitanti di Crede (da notare che le costruzioni a schiera rispettano il declivio del terreno. Sulla sinistra dell'edificio centrale, invece, c'è l'ex stalla grande con fienile (tabià). Particolarmente interessante poi, sia dal punto di vista storico-culturale che architettonico, la presenza di una porcilaia - colombera dalle caratteristiche guglie.


Sempre sulla sinistra, ma esterna al complesso, la seicentesca cappella fatta erigere dal vescovo Berlendis e ampliata nel 1893 - secondo centeneraio della sua morte - dalla commissaria Berlendis (l'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che ne amministra il patrimonio per volontà testamentaria).

   

Nel 1982, la commissaria Berlendis affidò a don Gigetto De Bortoli l'incarico di pensare ad un nuovo utilizzo dell'importante struttura e dal 1985, dopo i necessari lavori di ristrutturazione e riattamento, Crede è la sede della Comunità Terapeutica "Fonte Viva" del CEIS di Belluno onlus.

   

13 gennaio, 2011

Il Consiglio Provinciale dice sì al referendum

Martedì scorso, alle ore 17,30, il Consiglio Provinciale di Belluno ha votato una delibera nella quale si chiede al Governo nazionale di indire un referendum con il seguente quesito: Volete voi che l’Amministrazione provinciale di Belluno promuova la procedura per il referendum previsto dall’art. 132, comma 2, della Costituzione affinché il territorio della Provincia di Belluno sia separato dalla Regione Veneto per entrare a far parte della regione autonoma Trentino Alto Adige?
Ora la richiesta di Referendum arriverà sul tavolo del Ministro degli Interni, sarà sottoposta al Giudizio della Cassazione e del Governo.

09 gennaio, 2011

Autonomia per la Provincia di Belluno?

Il Consiglio Provianciale di Belluno, martedì 11 gennaio, ha all'ordine del giorno l'Avvio della procedura per l'indizione del Referendum ex art. 132 comma 2 della Costituzione, avente ad oggetto il seguente quesito: “Volete che il territorio della Provincia di Belluno sia separato dalla Regione Veneto per entrare a far parte integrante della Regione Trentino Alto Adige?”.

Dolomiti. Un orgoglio viverci, un dovere salvarci. Così il Comitato Belluno Autonoma Dolomiti Regione propone il suo Manifesto referendario chiarendo che "È la migliore tra le ipotesi di trasferimento amministrativo, poiché la regione Trentino non esiste come ente amministrativo accentrante, essa è un mero contenitore di due province autonome alle quali non viene “annessa” Belluno, che diventerebbe, invece, la terza provincia autonoma, necessariamente dotata di potere legislativo poiché la regione Trentino Alto Adige questo potere l’ha delegato alle province".
E che le Province autonome di Trento e Bolzano sappiano amministrarsi saggiamente, credo nessuno possa metterlo in dubbio.

03 gennaio, 2011

Soppresso l'Ente Italiano della Montagna?

Solo pochi giorni fa ho visitato il sito dell'Ente Italiano della Montagna (fino a qualche anno fa IMONT - Istituto Nazionale della Montagna), senza accorgermi di nulla. Pochi minuti fa scrivo il nome dell'Ente, più per curiosità che per reale convinzione, nel campo di ricerca di Facebook: e c'è, lo trovo. Clicco, leggo, e scopro che (riporto integralmente dalla homepage del sito ufficiale): 

L'EIM, Ente Italiano della Montagna, è soppresso in seguito alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010 della Legge n. 122 del 30 luglio 2010: conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010: recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

L’Ente Italiano della Montagna (EIM), con sede in Roma, è l'ente pubblico di ricerca della Presidenza del Consiglio dei Ministri finalizzato al supporto delle politiche e allo sviluppo socio-economico e culturale dei territori montani, nonché alla salvaguardia e valorizzazione delle aree montane.
L'Ente è il punto di riferimento delle amministrazioni pubbliche per i territori montani e fornisce consulenza e supporto all'autorità di governo, alle amministrazioni locali e agli enti territoriali 
- nella raccolta, sistematizzazione e diffusione dei dati e delle conoscenze sulla montagna;
- nell'elaborazione delle politiche e degli interventi in favore delle aree montane;
- nella definizione di strategie e azioni innovative, in grado di trasformare le istanze di sviluppo in programmi e progetti di ricerca a valenza settoriale e territoriale.

Sulla pagina di Facebook c'è, però, anche questa notizia: "Si chiede alle Istituzioni competenti la revoca del provvedimento di soppressione dell’EIM, che priverebbe la montagna e il Paese dell’unico ente nazionale pubblico di ricerca dedicato alle aree montane".
L'EIM, tra l'altro, aveva attivato nel 2006 il progetto Anguana “Museo dell’Uomo e della Montagna” articolato in tre attività distinte, ma correlate tra loro. Una di queste, e più precisamente la seconda, riguardava la realizzazione dell’“Ecomuseo del Vajont: continuità di vita” presso il Comune di Erto e Casso (PN). Storia di cui mi riprometto di parlare approfonditamente in un prossimo post.

Per il momento stiamo a vedere! Certo che peggio di così...

02 gennaio, 2011

Insediamenti montani, autogoverno, comunità e solidarietà

Riporto integralmente l'articolo, scritto da Loris, pubblicato sul numero tre del 2006 di Nunatak: rivista di storie, culture, lotte della montagna Mi ha offerto una nutrita serie di spunti di riflessione che intendo approfondire proprio qui sul blog... per il momento buona lettura!
PS: chi desiderasse approfondire la conoscenza di Nunatak può scaricarla in formato pdf.

L’organizzazione dello spazio vitale nelle terre montane ha sempre rappresentato un aspetto indicativo del modo con cui le comunità umane presenti sulle montagne si rapportassero all’ambiente a loro circostante e di come l’approccio verso le attività quotidiane fosse distante dalla concezione moderna di lavoro.
Una delle attività che si rese necessaria dalla parziale sedentarizzazione delle genti di montagna fu, prima fra tutte, la realizzazione di case ed insediamenti. Costruzioni che, in parte, ancor oggi è possibile vedere ed abitare.
Se non si osserva la montagna soltanto come un ammasso esanime di terra e roccia, ma se ne coglie l’estrema vitalità che custodisce, è sufficiente guardarsi attorno perché suggerisca gli spunti per un sacco di riflessioni. Una cosa in particolare mi dà piacere nel guardare i vecchi abitati di montagna: sapere che queste case furono ideate e realizzate dalle stesse persone che per prime ne avrebbero usufruito, con i materiali lì reperibili e senza mai poter trascurare la natura che le circondava, essendoci con
questa un continuo confronto e scambio, una totale reciprocità. Dalla montagna si traeva di che vivere, ma non era possibile ignorare le sue esigenze perché, ancora indomata, avrebbe saputo come “vendicarsi”. Nella zona alpina, infatti, l’uomo mise in atto una strategia di popolamento frutto di un’approfondita osservazione dei fenomeni naturali. Difficilmente, quindi, troveremo insediamenti ubicati su terreni favorevoli alla formazione di valanghe, alluvionabili o facilmente soggetti all’azione del vento. Solo oggi, l’uomo armato di scienze e tecniche moderne ha l’arroganza di poter dirigere l’ambiente e far fronte anche alle sue manifestazioni più impetuose.
Gli insediamenti che, a parer mio, meritano maggiore attenzione per il valore che rappresentano sono quelli definiti di carattere spontaneo, definizione che potrebbe ingannare se non si tenessero in considerazione i precisi condizionamenti climatici e le esigenze funzionali imposte dall’ambiente montano. Tale denominazione, infatti, ha origine più che altro dal marcato adeguamento di queste architetture ai caratteri fisici del territorio e dalla totale assenza di procedure normative di tipo istituzionale sull’intervento costruttivo. Costruite dagli stessi abitanti delle valli, queste case sono perlopiù di roccia (per le pareti) e di legno (per le travature), materiali reperibili sul posto e facilmente trasportabili che quindi consentirono, anche in questo frangente, alla gente di montagna
di mantenere un’eccellente autosufficienza.
La cultura e le esigenze di questi territori (specie per l’alta valle) garantivano lo svilupparsi di una forte coscienza cooperativa, tant’è che proprio l’ambito costruttivo, che implica un impegno collettivo non da poco, richiedeva un coinvolgimento generale che vedeva interessata un’ampia fascia di persone, senza distinzione di sesso, età, referenze: tutti partecipavano attivamente e si rendeva necessaria per tutti la conoscenza dell’arte del costruire. Di fatto non esisteva il costruttore di professione, ognuno, in misura diversa, era oltre che contadino e pastore anche muratore, falegname, carpentiere ecc. Tutto ciò si ricreava soprattutto nelle comunità d’alta quota dove la situazione di difficoltà portava anche, ed inevitabilmente, alla condivisione delle fatiche. Condivisione che si verificava nella gran parte degli ambiti del quotidiano.
Notiamo ad esempio come fossero diffuse le strutture comunitarie nei villaggi: mulini, forni, fontane, frantoi… (solo questi meriterebbero un capitolo a sé). Queste strutture venivano generalmente utilizzate a turno da gruppi o famiglie del borgo che sempre a turno provvedevano
alla loro manutenzione. Più raramente (soprattutto i mulini) gestiti da un unico responsabile, retribuito con una percentuale sul prodotto ottenuto.
Nel Medioevo, in epoca feudale, poteva capitare che fossero sotto il controllo di qualche signorotto che imponeva tassazioni sui prodotti ottenuti, ma sappiamo altresì che, grazie
alla forza delle loro comunità ormai consolidate, per la caparbietà che li contraddistingue e per la bassa densità che impediva un efficace controllo sulla popolazione, gli abitanti di questi luoghi seppero garantirsi condizioni di autogoverno e indipendenza, cosicché il potere feudale mai si instaurò radicalmente.
Tornando all’edilizia rurale delle “nostre” montagne, nonostante si differenzi in modo evidente da una località all’altra a seconda dei bisogni o dei gusti delle mani sapienti che intervennero, si possono osservare numerose caratteristiche comuni.
Tra queste trovo sia interessante prestare attenzione alla disposizione degli abitati (specie per quelli di carattere romano, più diffuso nella zona delle Alpi occidentali e differente da quello germanico presente altrove): questi non erano mai dettati dal caso, ma il prodotto di un accurato schema di occupazione dello spazio mantenuto nel tempo dalla tradizione. È singolare, ad esempio, vedere come, in luoghi dove ciò che non manca di certo è lo spazio, le case siano per la gran parte concepite in strutture aggreganti piuttosto raccolte. Questa scelta è dovuta sia alla necessità di ridurre al minimo l’occupazione del costruito sul terreno fertile, sia per trattenere maggiormente il calore, sia ad un altro aspetto che riconferma il forte spirito di comunanza che si generava in questi luoghi, ovvero il bisogno di stringersi il più possibile ai vicini per arrecarsi più facilmente soccorso in caso di problemi o disgrazie nei lunghi periodi di isolamento invernale.
È quindi evidente come la relazione con lo spazio fosse intesa in modo funzionale alle esigenze di primaria necessità, ma sempre attraverso un imprescindibile rapporto
di “dare e avere” con l’habitat che si andava ad “invadere”. Se pur necessaria, la funzionalità non rappresenta l’unico parametro con il quale vengono elaborate le abitazioni di alta montagna. Hanno invece notevole valore anche alcuni particolari architettonici legati all’immagine della casa, “dettagli” per i quali le genti dimostravano particolare interesse sviluppando nel tempo grande attenzione ed orgoglio per l’aspetto della propria dimora. Piccoli elementi interni ed esterni che, grazie al concorso di tante braccia, probabilmente nell’euforia generale odorosa di vino, divennero una vera e propria espressione di arte popolare.
In ciascuna delle pietre posate, in ogni gradino, nelle massicce architravi, nelle volte delle stalle, nei tronchi scavati di fontane, nelle pale in legno di mulini… rimangono incisi, non soltanto i segni del tempo, ma le vite delle genti che lo attraversarono in un intreccio di relazioni, passioni, intese e vicissitudini. Nel rapporto dell’uomo con lo spazio in cui vive e in cui si trova ad intervenire, si riflette direttamente la sua condizione. E se a giudizio prendiamo l’organizzazione del territorio nelle città, con cui gran parte delle persone sono ridotte a convivere, non può che venirne fuori un quadro abominevole.
L’appropriazione da parte del sistema mercantile dell’intero contesto urbano si riversa su ogni sfera del quotidiano di chi lo abita. Qualunque edificio, strada, luogo di ritrovo risponde sempre più esclusivamente a termini di redditività e controllo di un sistema dominante, escludendo così, a chi effettivamente ne dovrà fruire, ogni possibilità di scelta in rapporto ai propri bisogni e alla propria volontà. È da considerare infatti che chi detiene il potere esige spazi che gli garantiscano di esercitarlo al meglio e, in base a questo, li trasforma affinché si creino i presupposti per poterlo perpetrare.
Sarebbe opportuno quindi non perdere di vista i luoghi che ancora, in qualche modo, sono stati preservati dal radicamento di questi sistemi, essendo anch’essi sotto costante minaccia. Ed osservando gli esempi che anche il passato ci offre sarà possibile sviluppare le basi che ci permetteranno di creare i nostri luoghi di vita e contrapporsi a chi li vorrebbe cancellare.

Nunatak: rivista di storie, culture, lotte della montagna

È stato l'amico Michele Telaro, nel 2006, durante un'escursione in Val Chiusella (TO), a "vederla", prenderla e portarla a Erto per farcela conoscere. Si tratta di una bellissima e sentita iniziativa editoriale curata dall'Associazione Culturale Rebeldies e stampata in proprio presso l'omonima Biblioteca Popolare, entrambe di Cuneo. Non ha la carta patinata, né strabilianti immagini a colori, ma contenuti, rigorosamente in bianco e nero. Con questo nome, originario della lingua dei popoli nativi del polo artico, sono denominate le formazioni rocciose che spuntano dalla coltre ghiacciata della Groenlandia e del circolo polare antartico. Si tratta in effetti delle vette di alcune, le uniche al giorno d?oggi ancora coperte dai ghiacci perenni, di quelle montagne su cui, all?epoca delle glaciazioni, si rifugiarono embrionali forme viventi che, con il ritiro dei ghiacci, ripopolarono di vita il pianeta. Dinnanzi al dilagare degli scempi sociali ed ecologici prodotti dalla società della Merce e dell'Autorità, le montagne della Terra tornano ad essere lo spazio della resistenza e della libertà. Affinché una vita meno alienata e meno contaminata possa, giorno dopo giorno, scendere sempre più a valle. Questo lo spirito che anima e pervade la rivista.
Sempre dalla seconda di copertina: Numero tre, estate 2006. Supplemento al n. 1 (65), aprile 2006, di "ALP" - vos ëd l’arvira piemontèisa. Reg. Trib. di Biella n. 207 del 7/5/1975, Dir. Resp. Tavo Burat.
A causa delle leggi sulla stampa risalenti al regime fascista, la registrazione presso il Tribunale evita le sanzioni previste per il reato di "stampa clandestina". Ringraziamo Tavo Burat per la disponibilità offertaci.
Pubblicazione a cura dell’Associazione Culturale Rebeldies, struttura non esercente attività commerciale né finalità di lucro.
Per pagamenti copie e contributi economici:
Conto Corrente Postale n. 69975381, intestato ad Imeri Alessandra, Cuneo.
Stampato in proprio presso la Biblioteca Popolare Rebeldies (Cuneo), giugno 2006.
Prezzo di copertina: 2,50 Euro. Per il momento non si effettuano abbonamenti.

Non so che fine abbia fatto la versione cartacea, su Internet non sono riuscito a trovare informazioni aggiornate, ma solamente dei numeri in formato pdf, che metterò comunque on-line quanto prima. Ci sono molti articoli che chiunque ami la montagna, e intenda "proteggerla", dovrebbe leggere.